PIANIFICAZIONE DELLE ATTIVITÀ DI PREVENZIONE IN COORDINAMENTO TRA ENTI E PARTI SOCIALI IN AMBITO DEI COMITATI REGIONALI DI COORDINAMENTO, ART. 7

In tutte le Regioni risultano attivati i Comitati Regionali di Coordinamento ex art. 7, D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, finalizzati alla programmazione coordinata degli interventi. La realizzazione di tale complesso sistema di promozione della salute e della sicurezza, come definito all’art. 2, comma 1, lett. p del DLgs 81/2008, ha superato la fase di start up, si tratta ora di rendere pienamente operative le funzioni di pianificazione e programmazione coordinata tra enti istituzionali ed attori sociali. Le attività di vigilanza, in coordinamento tra Enti, sono state indirizzate verso i comparti a maggior rischio infortunistico: edilizia agricoltura e gli ambienti confinati.
L’omogeneizzazione delle pratiche di lavoro dei servizi, al fine di garantire il massimo della uniformità dei prodotti erogati negli ambiti regionali di riferimento, è stata perseguita attraverso corsi di formazione per gli operatori addetti alle attività di vigilanza in edilizia ed agricoltura e allo svolgimento delle indagini per malattia professionale e per infortunio, sperimentando anche corsi in FAD. I corsi di formazione,in alcune realtà regionali si sono svolti con la partecipazione congiunta di personale ispettivo delle ASL, e delle DPL e/o INAIL.
L’attività delle regioni è ispirata dal Piano Nazionale della Prevenzione 2010-2012 (intesa sancita il 29 aprile 2010 in sede di Conferenza Permanente per i Rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano) ed è finalizzata all’incremento dei livelli di efficacia e di efficienza dei sistemi regionali di prevenzione, perseguendo gli obiettivi generali di ridurre gli infortuni gravi e mortali e le malattie professionali. 
In allegato si riporta il dettaglio delle principali azioni previste dai piani regionali di prevenzione.
La necessità di garantire l’uniformità delle prestazioni sul territorio nazionale, sia dal punto di vista qualitativo sia dal punto di vista quantitativo, data la frammentazione territoriale delle ASL ha portato allo sviluppo di piani condivisi a livello nazionale con la definizione di standard e indicatori, oltre che di attività di formazione per gli operatori addetti alle attività di vigilanza in edilizia ed agricoltura e per gli addetti allo svolgimento delle indagini per malattia professionale e per infortunio; 
significativa è stata la sperimentazione della formazione a distanza degli operatori (vedi relazioni sui sistemi di sorveglianza sugli infortuni e le malattie professionali). L’omogeneità sul territorio nazionale è stata ricercata attraverso iniziative di formazione omogenee e con la condivisione degli obiettivi qualitativi e quantitativi (Piano Nazionale Agricoltura e Piano Nazionale Edilizia) approvati dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni, dal Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, art. 5, D.Lgs. n. 81/2008, e dalla Commissione art. 6, D.Lgs. n.81/2008.
La verifica dei volumi di attività delle Regioni nel 2010 ha evidenziato come il sistema regionale di prevenzione negli ambienti di lavoro nel suo complesso sia in grado di garantire la copertura dei Livelli Essenziali di Assistenza (controllo del 5 % delle unità locali con un dipendenti o equiparati).
La strategia sviluppata nei Piani Regionali di Prevenzione, è articolata nei seguenti punti:
a. Pianificazione delle attività di prevenzione in coordinamento tra Enti e parti sociali in ambito di Comitato Regionale di Coordinamento, art. 7 del DLgs. 81/08, al fine di sviluppare interventi orientati all’incremento dei livelli di sicurezza e protezione della salute attraverso la vigilanza mirata alle priorità di salute.
b. Piena copertura dei Livelli Essenziali di Assistenza (controllo del 5 % delle unità locali con dipendenti),orientando le attività dei servizi delle A.S.L. verso le priorità di salute ed il contrasto dei rischi più gravi, abbandonando pratiche di non documentata efficacia.
c. Sviluppo dei flussi informativi regionali di prevenzione, condivisi tra Enti, partendo dal programma ex Ispesl di registrazione delle attività dei servizi e dai flussi informativi INAIL su infortuni e malattie professionali.
d. Sviluppo di sistemi di sorveglianza sugli infortuni invalidanti e mortali e sulle malattie professionali e delle indagini svolte, partendo dai sistemi in uso (Informo e Mal Prof.) e dei lavoratori esposto o ex esposti a cancerogeni.

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